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P.O.W. Prigionieri di guerra alleati nei campi di prigionia del veronese

P.O.W. Allied prisoners of war in prison camps in the Verona

Campo P.G. 148 Pol di Bussolengo e i 14 campi sparsi nella provincia

Camp P.G. 148 148 Pol Bussolengo and 14 camps in the Province

Testo di Mauro Vittorio Quattrina

Comanda il Campo il Maggiore della Riserva del Regio Esercito, Aldo Gianni Castelli fu Vittorio. Avvocato e cavaliere. Decorato della Prima Guerra Mondiale, classe 1896, (1964) partecipa alle battaglie sul Montello e a Bainsizza. Laureato alla facolta di Giurisprudenza di Bologna il 12 luglio 1920, tesi: Dal contratto di riporto.

E' dal Maggiore Castelli che iniziamo a raccontarvi la storia, o almeno quel che si sa finora, del Campo per P.G. 148 (P.G. è l'acronimo di prigionieri di guerra) perchè proprio grazie alla documentazione da lui firmata e scritta, dalle sue decisioni, dalle sue minute e brutte, riusciamo a ricostruire fatti e avvenimenti di uno dei principali campi di lavoro per P.G. in Italia.

Quando nelle mie ricerche per il documentario per RAI "La storia siamo noi" mi sono recato presso il Comune di Bussolengo, non avrei mai immaginato che mi si mettesse a disposizione una documentazione tanto interessante. Nella cassa conservata negli archivi del Comune c'era una quantità straordinaria di materiale relativo al Campo di Pol.

Veline, elenchi, missive, lettere. Era tutto lì, in quella cassa di legno grigia-azzurra piena di documenti e foglie secche, salvati dal macero grazie ad una buona dose di lungimiranza e di quella piccola saggezza popolare del "non buttare via niente", in tempi in cui si buttava via tutto. E sì che fino a quel giorno di campi di prigionia, o di quel che ne restava, ne avevo visitati tanti, per il documentario: Sforzacosta, Sulmona, Monte Urano, Urbisaglia, Chiesanuova...ma mai avevo trovato tanti documenti praticamente inediti.

Eccola, nelle veline, fra un timbro e un ordine, la firma del Maggiore Castelli. Precisa, minuta, scritta con la stilografica che ancora oggi il nipote conserva gelosamente. E fra tutti i documenti firmati dal Maggiore, saltano fuori centinaia di lettere dei famigliari dei prigionieri, ancora chiuse e con la scritta "Censura" in bella vista; lettere mai recapitate, con ogni probabilità come conseguenza della caduta di Mussolini e degli avvenimenti del successivo 8 settembre 1943, oltre ad un cronico ritardo dei smistamenti postali.

Non deve essere stato facile per il Maggiore, gestire il Campo di prigionia, così come non lo era, in genere, per tutti i campi di prigionia sparsi per l'Italia. Da subito, ancora prima dell'arrivo dei prigionieri, iniziano i guai e i problemi. Sì, perchè, l'Italia, nel periodo tra il 1940 e il 1941, nonostante la cronica carenza logistica e materiale dell'Esercito Italiano, miete vittorie su tutti i fronti a fianco del potente alleato nazista. Però non è pronta a ricevere quelli che all'8 settembre 1943 saranno circa 80.000 prigionieri alleati. Manca tutto, dagli Ufficiali addetti alla conduzione del Campo, ai soldati di guardia, al materiale di costruzione, ai traduttori, al reticolato...

Sembra una domanda stupida, ma purtroppo realistica, quando qualcuno si sarà chiesto all'arrivo dei prigionieri: "E adesso dove li mettiamo?" Così , francesi, sudafricani, egiziani, neozelandesi, inglesi, norvegesi, svedesi, polacchi, russi e qualche (incredibilmente) cinese e, nel tempo, americani, canadesi e altri, vengono ospitati in vecchi campi di prigionia della Prima Guerra Mondiale riadattati alla meglio, o in atendamenti, accantomamenti, fattorie, baraccamenti o, come nel caso degli Ufficiali britannici, in ville antiche. Qualche Campo si costruisce appositamente, ma quasi tutti sfruttando costruzioni preesistenti. La guerra coglie l'Italia totalmente impreparata per quanto riguarda i P.G.

Pol di Bussolengo è un Campo costruito ex novo. Secondo un documento dello Stato Maggiore dell'Esercito, doveva contenere 788 prigionieri. Un bel Campo quindi. C'è una lettera (busta arancio N°16 prot. Ris.) datata 29 ottobre 1942, che dimostra le grandi difficoltà iniziali. Castelli scrive al comm. Ing. Ugo Sartori, direttore dei lavori della Società Idroelettrica Medio Adige, dal quale dipende la costruzione del Campo: "Vogliate scusare...se mi permetto...animato dal solo desiderio...". La prende larga per dire alla società S.I.M.E., incaricata dei lavori di costruzione del canale Biffis al quale sono destinati i prigionieri, che la costruzione del Campo è tutta un ritardo...strade, baracche, murature puntellate, reticolati; manca persino un ingegnere: "...i vostri funzionari riterrebbero tutto facile e semplice, che con quattro reticolati e due giorni di lavoro...". Insomma, si lamenta di brutto e il Campo, così, non va bene. Il messaggio tra le righe è chiaro: se il Campo non è pronto come si deve, i prigionieri non possono lavorare; e cosa posso raccontare ai superiori se arriva un'ispezione?

Che Pol fosse un Campo importante, e non secondario, lo possiamo dedurre dall'elenco generale dei campi di concentramento dello Stato Maggiore del Regio Esercito.

Ma vediamo dov'erano e quanti erano i campi di concentramento per P.G. in Italia.

 

POL DI BUSSOLENGO E' UN CAMPO DI LAVORO

Pol, è un Campo dove i prigionieri trovano lavoro presso aziende agricole, per la costruzione di manufatti civili e così via. Solitamente sono volontari di truppa e sottufficiali, gli ufficiali sono esentati dal lavoro salvo loro espressa richiesta. Nei Campi di lavoro il tempo passa piu' alla svelta, si puo' socializzare meglio anche con la popolazione locale e il vitto è piu' abbondante, e ci si puo' tenere in buona forma fisica... e forse c'è qualche possibilità di fuga piu' concreta. I P.G. non possono, in base alle Convenzioni di Ginevra, essere utilizzati per lavori a sfondo bellico e l'Italia applica le Convenzioni salvo pochissimi e insignificanti casi.

Siamo nell'ottobre del 1942. Luigia Dalla Vedova in Tortella, classe 1915, ha sempre abitato a pol e ci racconta che prima del Campo c'erano solo sterrati, rovi, robinie. Quindi, secondo Luigia, il Campo è stato costruito ex novo sopra il terreno di riporto degli scavi del canale; questo spiegherebbe perchè il Maggiore Castelli si lamenta che alcune baracche cono puntellate e costruite su terreno cedevole. Il Maggiore Castelli, da ottobre 1942 è, praticamente, in possesso del "suo" Campo. Scrive un'interessantissima lettera, di cui ci è arrivata la brutta copia. Interessante perchè attraverso le cancellature si puo' respirare l'aria del tempo, l'orgoglio di essere Comandante di un Campo e "lo stile di regime" nel modo di scrivere.

Lì 16.10.42 XX (ventesimo anno dell'era fascista n.d.a.)

Al Sig.r Podestà del Comune di Bussolengo

Al Sig.r deputato(?) Commissario federale del P.N.F. di Bussolengo

E per conoscenza Al Comando della Zona Militare di Verona N° 25 di proto-Partecipazione.

 

Ho l'onore il dovere di portare a conoscenza di V.S. Ill.mo che in questi giorni è stato regolarmente costituito il reparto che ho l'onore di comandare, e che risiede nel territorio di codesto Comune...

Nel tono diplomatico, nelle espressioni retoriche e nell'uso fascisticamente corretto del "voi", che Castelli userà pochissime volte nella corrispondenza, utilizzando spesso il lei e il tu, c'è tutto l'entusiasmo per il mandato del comando del Campo; ma dire che al Maggiore Castelli le cose vadano bene è molto ottimistico.

Già in novembre, l'entusiasmo si scontra con la dura realtà. "Nell'attesa dell'immancabile Vittoria", Castelli richiede al Comando Militare di Zona di Verona, 2 pistole per i suoi ufficiali di complemento...perchè non si trovanonemmeno a comprarle nell'industria privata. Gli rispondono in data 26 novembre 1942: "La direzione di Artiglieria del Capo di Armata non dispone attualmente delle pistole in oggetto. Comunque gli ufficiali interessati debbono richiederle al rispettivo centro di mobilitazione al prezzo di L.300 qual'ora ne disponga". Un po' poco per vincere una guerra mondiale.

Che gli ufficiali siano senza pistole passi, ci sono i moschetti, ma che almeno mandino i prigionieri! E invece ancora non si vedono. Castelli scrive allora al Comando del 19° Corpo d'Armata affermando che è da novembre che il Campo è pronto ma non arrivano i prigionieri. Non trovando risposta riscrive per la seconda volta ribadendo che il Campo è pronto per ricevere i 250 P.G. ma che "...a tutt'oggi non è però stato assegnato l'interprete..."

Non ho trovato l'Ordine di movimento di trasporto ferroviario dello S.M.R.E (Stato Maggiore Regio Esercito) per l'arrivo dei prigionieri a Pol, ma sappiamo che da metà dicembre giungono dal Campo P.G. 57 di Gruppignano (Udine) 250 prigionieri, nella quasi totalità neozelandesi.

Il 22 dicembre 1942, arriva anche l'interprete, Sergente Lupo Giorgio, in forza al 375° battaglione costiero. Anche lui senza pistola e senza bandoliera. Castelli, gentilmente, lo fa notare al Comando. La carenza di interpreti nei campi di prigionia italiani, aguzza l'ingegno; spesso e volentieri si ricorre a baristi o camerieri che durante l'estate lavorano sul lago di Como, sul Garda (laghi frequentati dagli inglesi prima della guerra) o nelle località di villeggiatura di mare e montagna.

Si sà che se qualcosa nasce storto è difficile raddrizzarlo. Castelli applica rigorosamente le Convenzioni di Ginevra, è un uomo un po' vecchio stampo, che per risparmiare carta scrive la brutta all'interno delle buste vuote della posta arrivata. Non dev'essere stato affatto contento quando gli mandano una tromba, necessaria per la vita del Campo, totalmente inservibile. Scrive il 22 dicembre: " Questo Comando ha avuto dal Comando truppe Deposito 80° fanteria, una tromba che si è dimostrata inservibile all'uso. Richiesta la sostituzione...il deposito dell'80° regg. fanteria comunicava a questo Comando di essere sprovvisto di trombe e di non poter di conseguenza effettuare il cambio". Si comincia bene. Pistole niente, trombe nemmeno.

 

 

Campo di prigionia di Vigasio in località San Bernardino (foto di Arnaldo Bercelli)
Campo di prigionia di Vigasio in località San Bernardino (foto di Arnaldo Bercelli)

LE CONVENZIONI DI GINEVRA, I DIRITTI DEI PRIGIONIERI

Le Convenzioni di Ginevra sonouna serie di trattati sottoscritti per la maggior parte a Ginevra, in Svizzera. Complessivamente le possiamo definire come un corpo giuridico di diritto internazionale. Le Convenzioni furono fortemente volute da Henri Dunant, motivato dagli orrori della guerra che visse in prima persona durante la Battaglia di Solforino e che così ben descrisse nell’opera “Souvenir de Solforino”destinati ai regnanti di tutta Europa. A lui andò il Premio Nobel per la Pace, nel 1901, il primo anno in cui venne assegnato tale riconoscimento, per il merito di aver fondato la Croce Rossa.

La prima Convenzione fu adottata il 22 agosto 1864 a Ginevra, in Svizzera, dai rappresentanti di 12 governi, compresi gli Stati Uniti d’America, unica potenza non europea a partecipare ai lavori.

Le Convenzioni antecedenti la Seconda Guerra Mondiale sono tutte state sostituite dalle quattro approvate nel 1949. All’interno delle Convenzioni di Ginevra trovano spazio anche tutte le indicazioni relative al trattamento dei prigionieri di guerra. In un libretto riservato alle forze armate americane, dedicato ai propri militari che fossero caduti in mano nemica, vengono molto bene riassunti i principi, diritti e doveri dei prigionieri. Sono principi che in tutti i campi di prigionia del veronese, Castelli faceva così ben rispettare; anzi, in alcuni campi si andava “molto oltre” le Convenzioni di Ginevra… Ad Angari, per esempio, il comandante del Campo, Alessandro Benetti, permetteva a un prigioniero di andare in paese “a curiosare” e i P.G. venivano invitati a feste di compleanno…; al Campo di Montecchia di Corsara, invece, alcune orchestrine suonavano sotto le baracche dei prigionieri.

Il libretto del War Department degli Stati Uniti, If you should be Capture these are your rights, tra le altre cose, ricorda ai prigionieri:

1- puoi ricevere lettere e pacchi da casa

2- puoi scrivere un determinato numero di lettere al mese

3- puoi avvisara della tua cattura la tua famiglia

4- puoi ricevere libri

5- puoi praticare il tuo culto religioso come desideri

I prigionieri di guerra non potevano essere impiegati in attività a scopo bellico come, per esempio, la fabbricazione di armi. Potevano invece essere utilizzati per quelli che oggi definiremmo “lavori socialmente utili” o come mano d’opera nei campi, che scarseggiava in tempo di guerracon gli uomini validi impegnati al fronte. I P.G. dovevano essere vestiti, nutriti e protetti dagli eventi bellici e la loro salute veniva assicurata dalla supervisione e controllo di una potenza Protettrice neutrale o “Protecting Power” (nel caso degli Alleati era la Svizzera).  Un altro diritto nel diritto, di cui godeva il prigioniero, era di poter chiedere copia delle “Convenzioni di Ginevra” nella sua lingua.

E’ interessante notare come le Convenzioni di Ginevra, nei confronti dei Prigionieri di guerra italiani catturati dai tedeschi dopo l’8 settembre 1943, si trasformino quasi in carta straccia e come le stesse Convenzioni siano obliate dal Regio Esercito e dal fascismo nei confronti dei prigionieri di guerra (e civili) di origine slava, fin dal 1940, nei già citati campi di Renicci, Arbe ed altri.

Così come le stesse Convenzioni vanno relegate in soffitta nel trattamento ricevuto da parte degli alleati, da fascisti e collaborazionisti, nei campi presenti in Italia e gestiti dai vincitori; uno su tutti Coltano, con trentacinquemila italiani “repubblichini” rinchiusi e che vide fra i suoi ospiti anche il poeta americano Ezra Pound, sottoposto al supplizio della “fossa del fachiro”, gli attori Walter Chiari, Enrico Maria Salerno, Raimondo Vinello, il campione olimpico di podismo Pino Dordoni. E ancora, il giornalista Enrico Ameri, e il regista Luciano Salce. Ma queste sono altre storie. Che varrebbe, però, la pena raccontare, oggi che i tempi sono (spero) piu’ sereni.

Posso affermare tranquillamente che, fino al 1943, i campi di prigionia italiani rispettarono- in linea di massima e valutando la povertà dei mezzi logistici, di sostentamento, e così via…- le Convenzioni di Ginevra nei confronti dei prigionieri britannici, così come, nello stesso modo, per un sottaciuto patto di “reciprocità”, esse venivano applicate ai soldati italiani da parte britannica.

Pur nel contesto bellico e storico, i campi di prigionia del veronese, che dipendevano tutti da Pol, furono sempre gestiti nel rispetto della dignità umana: onori e meriti, in tal senzo, vanno a tutto il personale addetto, dal Comandante alle guardie, dai furieri ai Regi Carabinieri.

Mi è stato raccontato che il Maggiore Castelli era un uomo facile allo scherzo e con un ottimo senso dell’umorismo. Però era pur sempre un Ufficiale. Dagli scritti ritrovati la disciplina non appare come un suo chiodo fisso, ma si vede che ci tiene. Ma questa forma burocratica di “apparire ai superiori in modo che non gli diano problemi”, va in contrasto con gli atteggiamenti che alcuni testimoni ci riportano. Si sa, per esempio, che le donne di Pol invece di recarsi, per qualche malattia o malanno, all’Ospedale di Bussolengo, preferivano recarsi alla piu’ vicina infermeria del Campo 148, con l’assenso, quindi, di Castelli.

I vari testimoni che ho intervistato, raccontano che all’esterno del Campo c’era un baracca adibita a Chiesa, a conferme del rispetto delle Convenzioni. Alla domenica, con il loro bel vestito della festa, prigionieri e civili si ritrovavano in questa chiesa improvvisata per assistere alla messa. Prigionieri da una parte e civili dall’altra. E qualche scambio di parola, qualche occhiata fugace, qualche “cioccolatina” dei pacchi dei viveri, ci poteva ben stare. Insomma la rigidità formale che traspare dai documenti ritrovati, sembra solo di facciata o ad uso e consumo delle ispezioni.

Nei campi per P.G., era ammessa ogni religione, ma un occhio di riguardo era sempre riservato ai prigionieri di fede cattolica. Ai P.G. veniva distribuito un interessante volumetto in inglese stampato dal Vaticano con dedica di Pio XII: Un piccolo libro di preghiere.

E’ interessante notare la versione in inglese del Padre Nostro:

“Our father who art in heaven, halloweed be Thy Name. Thy Kindom come. Thy willbe done on earth as it is heaven. Give us this day oir daily bread and forgive them that trespass against us. An lead us not into temptation, but deliver us from evil. Amen.”

 

ARRIVA LA CIOCCOLATA

Con il 1943la distribuzione dei pacchi che la Croce Rossa invia ai prigionieri di Pol di Bussolengo e degli altri Campi, migliora notevolmente; si alza quindi lla qualità della vita dei prigionieri. Oramai il meccanismo degli “aiuti umanitari” è ben oliato. Durante le interviste, una cosa che mi ha colpito particolarmente è questo fatto della cioccolata. Tutti i testimoni, si ricordano della cioccolata che usciva dal Campo in cambio di uva, pane, verdura…o semplicemente come regalo ai ragazzini. Racconta Elda Andrighetti, “morosa” di uno dei carabinieri di guardia al Campo, che il rapporto del suo futuro marito con i britannici era molto buono perché lui sapeva farsi volere bene e che comunque loro erano brave persone; sapendo che andava dalla “morosa”, i P.G. regalavano alla guardia la cioccolata per lei, ed Elda conclude, sorridendo anche con gli occhi: “Mamma mia quanta cioccolata che ho mangiato…” I britannici avevano messo a punto un sistema molto efficace di raccolta e distribuzione dei pacchi viveri e vestiario attraverso la Croce Rossa. Dentro a questi pacchi ci poteva essere ogni ben di dio. Cioccolata, latte in polvere, dadi per minestre di carne e verdura, latte e caffè liofilizzati, pesche, albicocche e prugne sciroppate, salmone, carne in scatola, margarina, burro, thè, biscotti, gomme da masticare, marmellate varie, conserve, zucchero…senza parlare del vestiario e altri generi di consumo come calze in lana, maglioni, carta igienica, sigarette, tabacco, sapone, giochi (scacchi, freccette, palloni da calcio e pallavolo, cricket, carte da giuoco, mazze da baseball, guantoni da boxe…), libri…La foto a sinistra è un esempio tipico di quei pacchi. Ogni settimana partivano dai vari depositi inglesi, dotati di vere e proprie linee di “montaggio” dei pacchi, tonnellate di parcels che venivano inviate a tutti i prigionieri britannici in ogni parte del mondo. Non parliamo dei pacchi che arrivavano dagli Stati Uniti per i prigionieri americani.

 

 

 

 

Ma il Campo P.G. 148 com'era fatto?

Com'era realizzato materialmente e com'era organizzato il Campo P.G. 148? Ci sono pervenute, oltre alle testimonianze, due interessanti documentazioni. La prima è una mappa dei primo anni '80, dove sono chiaramente individuabili le baracche dei prigionieri.

L'altro documento l'abbiamo trovato nel sito neozelandese www.nzetc.org

"...a metà dicembre (1942) un ramo del Campo 57 è stato costituito in un nuovo accampamento di lavoro vicino a Bussolengo, circa venti miglia a nord di Verona, dal trasferimento di circa 250 Neo zelandesi. Sono destinati alla costruzione di un canale, che fa parte di un grande schema idroelettrico che doveva sfruttare le acque del fiume Adige. L'accampamento sorgeva appena sopra il fiume e, circondato da vigne e frutteti, aveva una vista della bellezza insolita. I prigionieri erano inquadrati in squadre che lavoravano sei ore d'inverno e nove d'estate, sebbene un decreto, l'anno successivo portasse a otto ore la giornata lavorativa minima per tutti gli operai italiani, così come per i prigionieri di guerra. L'alloggiamento dei prigionieri erano baracche di pietra, con cuccette a due piani, di legno e disposte in tre file, simili a quelle di Torviscosa (Udine, Campo P.G. 107 n.d.a.); la cucina, i bagni, la mensa, lo spaccio di bevande, l'infermeria e le celle di detenzione, erano in un blocco separato. Lo spaccio di bevande era ben rifornito e saltuariamente venivano servite razioni supplementari di vino, come per esempio a Natale. In quell'occasione ai prigionieri furono concessi quattro giorni per le celebrazioni. Comunque la posta, ricevuta o spedita, aveva consegne piu' lunghe nei campi di lavoro rispetto a quelle degli accampamenti principali; gli invii dei pacchi alimentari della Croce Rossa ed i vestiti arrivavano regolarmente a Bussolengo. Un ispettore neutrale ha rilevato che, oltre alla soddisfazione delle razioni alimentari extra dei prigionieri, il loro aspetto sembrava piu' felice...(rispetto a quello dei P.G. dei campi di prigionia n.d.a.)

 

Ma com'era una giornata tipo dei prigionieri del Campo di Pol?

Lo possiamo leggere nel registro "Novità del servizio al Campo prigionieri" riportato nell'incolonnamento originale di scrittura. Prima di tutto vediamo però gli attrezzi da lavoro dei prigionieri (le liste seguenti sono riportate così come scritte, errori grammaticali compresi con stampatelli e minuscole)

PRENDO IN CONSEGNA IL SUDETTO MATERIALE LASCIANDO LA RELATIVA RICEVUTA...

verrà allegato documento in originale...

Salta subito all'occhio una grana del Campo . Le lampadine che si bruciano. Una costante. Tanto che il 7 marzo del '43 il Maggiore Castelli invia una lettera alla società idroelettrica Medio Adige - Direzione Lavori- 5° sezione a Bussolengo per lamentarsi che: "...dalle prime ore della sera la luce è assai scarsa e piu' ancora continuamente intermittente, dà sbalzi e tremolii persistenti, tanto da rendere quasi impossibile il lavoro negli uffici, l'incoveniene poi provoca continui guasti irreparabili alle lampadine del Campo, che in numero sensibile sono messe fuori uso"...

Certo che a Castelli la vita non gliela rendevano facile neppure nelle piccole cose. Per esempio il fante T. Augusto scrive l'elenco delle proprie malattie probabilmente con richiesta di essere congedato. Dalle malattie swmbra un reduce dalla Russia con il suo carico di infermità e così com'è scritta la ripropongo:
1.Sinosite mascellare destra cronica

2.etmotite

3.faringite crostosa

4.gastrite

5.intercolite

...

Ma la vita del Campo P.G. 148 è fatta anche, e soprattutto di burocrazia. Burocrazia elefantiaca sia per i grandi avvenimenti che per i piccoli fatti; la rottura del carrettino a due ruote del Campo, delle lampadine, la scarsità di acqua potabile, il malfunzionamento delle cucine, la mancanza della bicicletta per andare in paese, seguono lo stesso iter della richiesta di pistole, della fornitura dei proiettili, della diffusione del tifo petecchiale o della scabbia.

 

Sono innumerevoli i moduli necessari per la gestione del Campo. Castelli riesce a dare un impronta ordinata a tutto. Divide, infatti, i documenti per lettere alfabetiche.Ogni lettera alfabetica rappresenta un gruppo di documenti, dai formati e da lle indicazioni differenti, che venivano contrassegnati con la matita rossa e blu. Una torre di babele di carte, carteggi e indicazioni. Questo dimostra come lo Stato Maggiore del Regio Esercito si trovi impreparato fin dall'inizio della guerra alla gestione dei Campi di prigionia, complicando la gestione piu' che a semplificarla. E non è solo la quantità di moduli a complicare la vita. Quel che è peggio è la mancanza di uniformità nell'apparato burocratico. I moduli che arrivavano a Pol da Tuturano e dai vari campi di prigionia sono completamente diversi. Poi ci sono i moduli delle ferrovie, del partito Fascista, del Comune, dell'Ospedale Militare, del Comando di Corpo d'Armata...Vediamo un po' come veniva suddivisa la documentazione del Campo di Pol di Bussolengo.
I
n ordine di lettera:

A - ordini amministrativi, organizzativi di servizio e statistici;

B - esercitazioni di tiro, pulizia armi, richiesta pistole;

C - lasciapassare Azzurro (verde), comunicazioni alla..., richiesta piante, autobagno, convenzione italo/germanica..., elenco ufficiali iscritti al quadro avanzamento, invito, tavolette IMI 25.000, carte annonarie, disinfestazione, servizio stanze permanenti della truppa, bollettino;

D - richiesta sementi, prelievo diretto tabacchi, buono prelievo carne fresca, richiesta farina e pane, domanda prelievo sigarette;

E - corrispondenza P.G., collegamento telefonico, preallarme, trasmissione messaggi, ricevuta pacchi P.G., sacco indumenti P.G.;

F - vaccinazioni, richiesta medicinali, acqua pulizia, licenze convalescenza, P.G. inviati in luogo cura;

G - corrispondenza con i campi satelliti (questa lettera nell'elenco ritrovato non c'è, ma la si nota riportata nei documenti relativi ai campi satelliti, probabilmente perchè la lista delle lettere fu compilata nel 1942, prima della costruzione degli altri campi nel veronese);

I - licenze e telegramma ministeriale, richiesta blocchetti commissione mensile, per militari, comunicazione licenze;

L - riparazioni capo sarto e calzolaio, capi operai;

M - lavori finestrini, riparazione calzature, contabilità lavoro P.G. richiesta stampati, tela cerata blu, richiesta medicinali, richiesta scarico radioricevitori per il Campo, assegnazione lucido, materiale propaganda, coperte da Campo, furto in magazzino dei corpi, addebito lenzuola, cambio lenzuola;

P - pacchi viveri P.G., effetti per P.G., argomenti vari, Le cento città d'Italia (rivista dell'epoca a sfondo turistico), assegnazione lucido P.G., richieste circolari;

R - costruzione Campo lavoro, visita urgente diplomatico, ringraziamento, relazione per danneggiamento, acqua pulizia P.G., uff. illuminazione Campo, planimetria, invio copia circolare, ispezione quindicinale. Ciclo supplettivo commissione medica P.G.

 

Con la burocrazia sistemata, dal Campo ci si deve muovere; servono cioè i mezzi di trasporto. Cosa c’era, quindi al Campo di Pol per potersi spostare, andare in paese a fare la spesa, ritirare la posta, portare i malati all’ospedale o dal dentista? Nella lettera del 4 dicembre 1942, inviata al signor colonnello comandante del Magazzino Militare Foraggi, il Maggiore Castelli scrive: “Qesto reparto è di recente costituzione: manca di mezzi per il trasporto. Richiesti tali mezzi in tempo utile, solo oggi li ho avuti. In data odierna ho potuto eseguire il prelevamento competenza legna per la cottura per il rancio…questo comando ha dovuto ricorrere d’urgenza ad un prestito legna presso privati, prestito che deve essere restituito”.

Dalle testimonianze raccolte nessuno ha affermato di aver visto camion o auto nel Campo ma solo cavalli e carretti. Questo potrebbe essere vero, visto a chi scrive per lamentarsi il Maggiore Castelli. Del resto, risulta che nel Campo di Pol ci fosse una stalla ma nessuna autorimessa. In una copia fonogramma del 4 marzo 1943 si dispone: “domani 5 corrente ore 10 un’auto vettura da sei posti si trovi al Campo P.G. di Bussolengo per trasporto prigionieri a Carpi”. (in realtà la vettura li avrebbe portati alla stazione di Verona per prendere il treno 2265 per Carpi delle ore 12.50 n.d.a.)

Che mezzi a motore non ce ne fossero al Campo di Pol, viene confermato anche da un altro documento. Si tratta dell’organico Ufficiali del Campo al 6 marzo 1943.

Maggiore Fant. Riserva – Castelli Gianni Aldo – Comandante del Campo

Capitano Fant. Compl. – Carini Baldassarre – Comandante Rep. Vig.

Tenente Amm.ne Compl. – Saibene Alberto – Capo Ufficio Amm.ne

S. Ten. Medico Compl. – Gottardi Girolamo – Dirig. Serv. Sanitario

Tenente Fant. Compl. – Terenziani Enrico – Subalterno del R. Vig. addetto ai viveri, spaccio, cucine, quadrupedi, ecc…

Tenente Fant. Compl. – Sanfilippo Cosimo – subalterno della R.V. con funzioni di capo Campo dei P.G. e ispezioni ai P.G. sui lavori

S. Tenente Fant. Compl. – Tommasi Giuseppe, del R.V. con funzioni di Aiutante Maggiore dell’Ufficio Comando.

Insomma, di automobili, moto sidecart e camion, nemmeno l’ombra. Dalla testimonianza di un abitante di Bussolengo veniamo a sapere che alla domenica alcuni P.G., accompagnati dalla scorta e a volta dallo stesso Castelli, andavano al panificio nel centro di Bussolengo, che era anche caffè-gelateria, per bere qualcosa. Carretto, cavalli e piedi, come mezzo di locomozione. Alcuni testimoni riportano di aver visto, a volte, una motocarrozzetta, ma forse era del Comando di Verona usata per la consegna delle missive.

Significativo, come abbiamo osservato prima, che il Campo andasse a prestito per la legna finchè non fossero forniti di “mezzi” (cioè cavallo e carretto) per potersene rifornire. Anche la legna diventa un grosso problema e non solo perché scarseggia, ma anche e soprattutto, come diremmo oggi, perché le cucine del Campo non erano a norma. Non funzionavano a lignite, ma a legna. Scrive il Genio Militare a Castelli in risposta a una sua lettera del 7 dicembre 1942 (che non si trova nell’archivio): “In risposta all’attergato sopraccitato si comunica che le cucine truppa e P.G. del Campo lavoro N°148 sono del tipo occasionale e non possono essere trasformate per il funzionamento a lignite. Pertanto l’assegnazione del combustibile per il confezionamento del rancio per la truppa e per i P.G. deve essere esclusivamente di legna – f.to il Ten. Col. Capo sezione D. Pezzullo”.

Il 21 dicembre 1942 al Campo di Pol arriva una lettera dell’ufficio contratti del Commissariato Militare di Verona, in cui si autorizza il Campo di Pol a prelevare “solo legna” per la preparazione del rancio per truppa e P.G., senza effetto retroattivo. E chi gliela ridà ai contadini la legna presa in prestito a novembre e dicembre? Comunque lo Stato Maggiore del Regio Esercito informa, con una lettera del 22 dicembre 1942 che: “Nella eventualità che la razione di legna spettante ai pg. Venga completamente assorbita dalla cottura del rancio o non ne rimanga a loro disposizione per il confezionamento del tè, pregasi disporre che i dipendenti campo di concentramento provvedano ad acquistare a tale scopo legna da ardere coprendo la spesa con gli aiuti dello specchio (spaccio n.d.r.) cooperativo di ciascun Campo”.

Comunque il tè è una delle preoccupazioni che permeano tutti i campi per britannici. Si sa, un inglese senza tè è come un italiano senza pasta. Ecco allora che la signora Luigia Dalla Vedova, ci racconta come non fosse raro vedere alcuni addetti del Campo di Pol portare “le ramine” del tè ai prigionieri che lavoravano lungo il canale. Quando mancava il tè i prigionieri si arrangiavano con quello che trovavano nei campi: foglie di vite, rosmarino, foglie di gelso, tiglio…una tisana è pur sempre meglio che niente.

Ma al Campo di Pol le piccole scocciature non finiscono mai; possibile, si chiedono sia il Tenente Terenziani sia il Maggiore Castelli il 16 marzo 1943, che 32 P.G. siano ancora senza gavette da dicembre, praticamente dal loro arrivo dal Campo di Gruppignano?

Si sa che il lavoro di guardia ai prigionieri è abbastanza noioso. Questo è un altro grattacapo che si ripresenta non solo al Campo di Pol ma, piu’ avanti, nei campi satelliti. Il 6 marzo 1943 Castelli informa tutti i reparti del Campo che ha dovuto punire una guardia perché invece di sorvegliare i prigionieri aiutava un civile nelle misurazione planimetriche. Con il tono “in stile con i tempi” scrive: “Il fante di sorveglianza ai P.G. sui lavori deve considerarsi, come in effetti è, una sentinella in servizio armato: come tale…la vigilanza deve essere continua, severa, assoluta, con controllo numerico dei P.G. che debbono essere sempre guardati a vista”.

Altro problema sono le scritte nelle garitte. Qualche guardia, presa dalla noia di lunghi turni, scarabocchia le pareti in legno…Fatto che viene riportato sul libro delle ispezioni.

I guai sono come un amico inaspettato, non vengono mai da soli. Ecco allora, che oltre alle pistole, alle lampadine, ai reticolati malmessi, al poco personale, ai mezzi inesistenti, alle guardie, alla legna, alle cucine provvisorie e a quant’altro, si aggiunge la decisione dello S.M.R.E. di affidare al Maggiore Castelli il comando e la supervisione di un’altra decina di Campi satelliti che in marzo 1943 già sono in approntamento.

Contrassegnati con i numeri romani i Campi sono:

Montecchia di Corsara 148/I

Lazise 148/II

San Martino Buon Albergo 148/III

Zevio 148/IV

Oppeano 148/V

Bonavigo 148/VI

Angiari 148/VII

Legnago/Vangadizza 148/VIII

Isola della Scala 148/IX, 148/X, 148/XI, 148/XII

Vigasio 148/XIII

Mozzecane 148/XIV

Castelli lo sa che nel suo Campo “si tira a campare”, anche se dignitosamente. Questo fatto dei Campi satelliti, allora, puo’ tornare a suo favore. Oltre alle sue truppe e graduati dovrà gestire altri 33 fra Ufficiali e Sottoufficiali, e 298 soldati di truppa. Si prevedono, dislocati nei diversi distaccamenti, altri 1.000 prigionieri britannici e alleati. Quale occasione migliore per richiedere quello che manca? Il 30 marzo 1943 stila una lettera in 7 punti che invia all’ufficio territoriale del Comando di Corpo d’Armata di Bolzano e per conoscenza al Comandante della zona Militare di Verona. Castelli, quasi come un buon pubblicitario d’oggi, sa che bisogna scrivere poco e chiaro, andare al punto; ma prima si deve dare una giustificazione alle proprie richieste, perché nessuno possa dire no, e scrive: “Per la piu’ sollecita costituzione ed immediato funzionamento dei reparti di vigilanza dei costituendi 14 distaccamenti del Campo lavoro 148 in provincia di Verona, e per la semplificazione del servizio e dell’afflusso di materiali di casermaggio e diversi e viveri, si propone…”.

Il primo passo è fatto, mette all’angolo i suoi interlocutori. E subito parte con le richieste:

1)assegnazione al Campo 148 in forma stabile, almeno durante il periodo di appostamento, di un autocarro con rimorchio a Verona, onde da tale località il Comando del Campo 148 possa provvedere con indirizzo unitario e risparmio di viaggi ai prelevamenti ed alle assegnazioni di tutti i materiali di casermaggio, legna, viveri, ecc…a tutti i distaccamenti. In tal modo il servizio potrebbe compiersi in una o due giornate al massimo per ogni materiale prelevato

2)assegnazione al Comando del Campo 148 di una vettura per poter tempestivamente ispezionare tutti i distaccamenti e dare le opportune norme per l’apprestamento completamento nonché le direttive di carattere disciplinare ed amministrativo; si tenga conto che i distaccamenti sono dislocati in tutta la vasta zona della provincia e che il Comando del Campo 148 è sprovvisto di un mezzo idoneo di trasporto per le necessarie urgenti ispezioni

3)accentramento al Comando del Distretto Militare di Verona, centro di mobilitazione, di tutti i materiali di casermaggio, di equipaggiamento, ecc. in modo che il Comando del Campo 148 possa provvedere poi ai prelievi necessari

4)assegnazione sollecita delle camere per ufficiali e sottufficiali, dei lettini biposto, coperte, lenzuola, pagliericci, traversini occorrenti per i singoli distaccamenti costituendi, con incarico del prelievo al Campo 148 servendosi del mezzo di cui al N°1

5)assegnazione di adeguato materiale da cucina (marmitte, mestoli, coltelli,ecc.) da prelevarsi dello stesso Comando del Campo 148 per ogni distaccamento

6)assegnazione per ogni distaccamento di segaccio per legna, una scure, due ceste per pane, una cesta per carne, sacchi, bidoni e materiale vario per i viveri

7)assegnazione per ogni distaccamento di una bandiera di terza categoria e di un apparecchio radio

Si ritiene che solo con l’assegnazione dei mezzi di trasporto di cui al 1 e 2 sia possibile disimpegnare il servizio con praticità e sollecitudine…”

Di tutti i sette punti, di tutte le richieste fatte, solo una piccolissima parte viene accettata, per il resto rimangono i guai, i problemi e lampadine che ancora non vanno.

 

La casa degli Ufficiali del Campo di Pol unica costruzione rimansta intatta dal 1943
La casa degli Ufficiali del Campo di Pol unica costruzione rimansta intatta dal 1943

1943 DALL’EDERA RAMPICANTE AI PROBLEMI IL PASSO E’ BREVE

Il mese di aprile del 1943 si rivela un mese veramente difficileper la vita del Campo, per Castelli e per i suoi soldati. I problemi di logistica e la cronica mancanza di materiali sono ancora irrisolti, anzi si aggravano giorno dopo giorno, specie per l’allestimento dei campi di lavoro satelliti.

Un piccolo passo indietro. Marzo 1943. Nel già citato promemoria di servizio indirizzato al Tenente Terenziani, in Sede, cioè al Campo di Pol, si legge che, oltre alla mancanza delle gavette dei P.G. provenienti da Gruppignano: “Vi prego inoltre provvedere alla ultimazione delle piantagioni del Campo e di far potera le piante già collocate nonché a far allestire il terreno attorno al villino Ufficiali allo scopo di piantare anche qui alcuni alberi ornamentali e di costruire aiuole. Se non si provvede subito, non si sarà piu’ in tempo. Completare infine subito la siepe ai due lati del pilone di sostegno della bandiera in modo da ottenere la chiusura completa ambi i lati”.

L’unica costruzione rimasta intatta del Campo di Pol è oggi la casetta degli Ufficiali, la stessa in cui alloggiava il Maggiore Castelli. Il nipote mi ha raccontato che il nonno amava molto circondarsi di verde e di piante. Filari di edera, ancora oggi, coprono i muri dell’abitazione del Maggiore Castelli a Cazzano di Tramigna, e grandi alberi svettano in giardino. In un angolo trovava posto anche una piccola oasi di pace con divano e sedie in vimini. Di per sé la cosa potrebbe essere solo un aneddoto irrilevante nella storia di Pol, ma acquista ben altra dimensione se si presta maggiore attenzione agli alti alberi che crescono davanti a quella casetta superstite. In realtà quegli alberi sono stati piantati proprio per ordine del Maggiore Castelli. E soprattutto l’aneddoto acquista valore storico se messo in relazione con il documento riportato piu’ avanti dove Castelli chiede “maggiori” confort per sé e per i suoi ufficiali, compresa una sfiziosa serie di piante rampicanti.

Siamo al primo aprile 1943, (gli alberi, come abbiamo visto prima, sono già piantati) e Castelli scrive alla Società Idroelettrica Medio Adige:”Sarei veramente grato a codesta Direzione se volesse provvedere, come già richiesto, alla costruzione di una piccola rotonda in ferro (Berceau) sul davanti del villino Ufficiali, sopra la scaletta (a lato) come previsto, onde farvi salire alcuni rampicanti: basterebbero cinque o sei ferri di grossezza limitatissima, ricurvi e con congiunzioni in alto. Ove, mancasse il ferro, la costruzione potrebbe essere eseguita in legno, nel modo piu’ semplice e meno costoso. Il lavoro dovrebbe essere attuato subito, per poter eseguire tempestivamente la seminazione. Inoltre prego cotesta Direzione di voler prendere in benevolo esame la richiesta di fornitura, per il villino Ufficiali, di sei sedie a sdraio in tela pieghevole (tipo spiaggia), e di un tavolino e due o tre sedie in vimini, nonché di un ombrellone girevole colorato (giusto per non farsi notare dalla ricognizione aerea nemica…), materiali che sarebbero di grande gradimento ma anche di vera necessita’ per gli Ufficiali nelle ore di riposo della stagione calda avanzante, non essendovi altro mezzo di respirare e riposare all’aperto data la mancanza di alberi e…di ritrovi. Il materiale sarà assunto regolarmente in carico e conservato con cura”.

Osservando, come dicevo prima, la casa del Maggiore Castelli a Cazzano di Tramigna, la disposizione del verde e il giardino che la circonda, è facile capire come Cstelli colesse ricostruire quell’oasi di pace, quell’impronta bucolica che gli permetteva di vivere un po’ come a casa sua, avendo per di piu’ l’obbligo di residenza al Campo di Pol.

Ma la vita del Campo non è solo edera e verde. I servizi igienici non vanno. I condotti di sfogo della latrina e della cucina del Campo non sono ancora sistemati definitivamente. Le acque luride “…stagnano lungo i reticolati e oltre la strada…” e creano problemi dal punto di vista igienico “…a prescindere dal danno estetico”.

Il Campo non ha quelle comodità e quei privilegi che il grado puo’ ottenere. L’umidità del Campo è elevata, i locali sono tutti umidi e bisogna tenere il riscaldamento a legna sempre acceso. La sistemazione “ è modesta…non esistono particolari sale di ritrovo e di uso comune. I militari e i sottoufficiali, rientrando dal servizio di guardia sul lavoro, spesso con gli indumenti umidi di pioggia o di neve, non hanno per ricovero che il refettorio e la saletta mensa”. Castelli, con questa lettera al Comando del XIX Corpo d’Armata, si lamenta di tutto quello che non va e prosegue puntualizzando: “Si tenga presente inoltre che è obbligo di tutti i militari – ufficiali compresi – di residenza al Campo, distante da ogni località abitata…”, (non è vero ma castelli calca la mano). Come quando da piccoli ci dicevano “a letto dopo Carosello…”, Castelli ordina a tutto il repartoVigilanza, per motivi di “igiene” e di “equità”, “di mettersi a letto a servizio appena ultimato, dopo il secondo rancio”.

Nella stessa lettera il Maggiore si lamenta anche delle camere degli Ufficiali: “…che non sono fornite dal Comune e che sono costruite nel Campo, ove gli ufficiali stessi hanno l’obbligo di residenza”. Si intuisce che Castelli pensa di ricevere un trattamento poco consono all’onore di un Ufficiale del Regio Esercito, ma non sa, che in tutti i campi di prigionia in Italia, la situazione è parimenti deficitaria, se non catastrofica. Perfino nelle fotografie ad uso e consumo della propaganda, scattate nei Campi piu’ grandi, la desolazione e la penuria di mezzi è quanto meno sconcertante. Basta osservare le foto delle stanze degli ufficiali di ltri Campi, riportate nella pagina seguente, per rendersi conto della situazione.

L’illuminazione del Campo è un assillo e un problema continuo. Le lampadine vanno e vengono, questo già lo sappiamo, ma mancano anche le lampade per la sorveglianza del Campo, tipo Irina o Disco. Nemmeno a comperarle da privati.

Fossero solo le Irina il problema! Macchè, ci si mette anche la mancanza di personale per i distaccamenti. Così scrive al Comando di Zona militare: “Ho il dovere di comunicare…che in alcuni di essi, (campi) non si sono potuti mandare al lavoro la totalità dei p.g.per deficienza dei militari della R.V. (Regia Vigilanza). Nella maggior parte le squadre p.g. sul lavoro sono state vigilate da un solo militare pur facendo montare di guardia persino i graduati. L’inconveniente (chiamalo inconveniente…) pare gravissimo”.

Ma allora, se la vigilanza è così poca, come mai nessuno fugge? Le ragioni sono semplici. Chi scappa puo’ anche essere ucciso e se proprio uno ce la fa, c’è sempre il rischio di essere rispedito di nuovo al fronte…

I prigionieri, nei campi, mangiavano, avevano un posto per dormire, pericoli non ce n’erano…Magari capitava pure qualche scappatella con le regazze italiane. E c’era qualcuno che se ne andava a zonzo per il paese, come Job, prigioniero al Campo di Angiari. Racconta nelle sue memorie il Tenente Alessandro Benetti, che comandava il Campo: “E così non riuscivo a negare il permesso a Job, il piu’ giovane, dai capelli biondissimi, dalla pelle arrossata dal sole e dal viso tipicamente anglosassone, di recarsi in paese con abiti contadini e un grande cappello di paglia, a fare un giretto, a curiosare un po’…”

In tutti i Campi del veronese che, risottolineo, dipendevano dal Campo base di Pol, questi fatti bizzarri accadevano frequentemente. Il fraternizzare di guardie, prigionieri e civili, mette in allarme i vari Comandi. Ma a preoccupare le alte sfere del Regio Esercito, delle Prefetture, dei Carabinieri, non è solo lo spirito degli italiani di non voler male a nessuno, nemmeno al nemico, che affonda le sue radici nella religione cattolica e che permea pesantemente la fede dei soldati italiani, ma li preoccupa, soprattutto, anche il fatto che i pacchi della Croce Rossa cominciano ad arrivare sempre piu’ numerosi nei vari Campi di prigionia. Come ho già detto nelle pagine precedenti ciascun pacco contiene ogni ben di Dio. Se all’inizio questi pacchi contribuivano a integrare la povera dieta dei prigionieri che, in certi campi italiani, sopravvivono grazie ad essi, in breve tempo queste “parcels” diventano una vera e propria fonte di ricchezza.

I pacchi vengono stipati nei magazzini e sono motivo di orgoglio per i prigionieri e di umiliazione per i militari di guardia. A questo punto, si cerca di correre ai ripari con la circolare 5 N°3/109100 dello S.M.R.E. –ufficio P.G., che arriva anche a Pol e da qui è inoltrata a tutte le altre dipendenze. Siamo al 5 luglio del 1943, nell’aria si sente la sconfitta militare e questo si riflette, anche se indirettamente, negli scritti e negli ordini. Ecco quel che la circolare lamenta: “…con tale forma esagerata di assistenza adottata dalle potenze nemiche resa possibile dal fatto che la Convenzione di Ginevra non pone alcuna limitazione al riguardo – oltre a cercare di influire negativamente nei riguardi dei nostri soldati e della nostra popolazione civile, per il raffronto con le nostre restrizioni alimentari, offre il modo ai pg. di procurarsi clandestinamente gli eventuali mezzi, nonché denaro, per tentare evasioni, evitando altresì la spendita di valuta del proprio Paese…”

Eccoci quindi ripiombati nel nostro quotidiano con un parallelismo tipicamente italiano: la ricerca di un colpevole per giustificare le proprie mancanze. Il discorso non pone l’accento sulla povertà di un paese ormai provato dalla guerra, quanto piuttosto sulla ricchezza eccessiva del nemico. I P.G. britannici,con le nostre guardie e i nostri militari, non scambiano solo generi alimentari, ma iniziano, parallelamente a dar vita ad un fiorente mercato nero interno ed esterno ai campi, con scambi di maglieria, calze, tabacco e quant’altro, in cambio di pane, frutta, vino e addirittura pezzi di radio che serviranno per costruire ingegnose riceventi artigianali che permetteranno ai P.G. di ascoltare le notizie di Radio Londra. I P.G. sono piu’ ricchi delle proprie guardie, costrette a sopravvivere con la decima, mentre i prigionieri dispongono ormai anche di parecchio denaro. Desta meraviglia, nei prigionieri di guerra neozelandesi e alleati, nei vari campi sparsi per l’Italia, che i nostri militari non abbiano calze, ma “pezze da piedi”, quadrotti di tessuti avvolti alla meglio, come si usava nella Prima Guerra Mondiale. I nostri soldati, invece, in larga parte anlfabeti o con la cultura elementare, si meravigliano del fatto che i loro sorveglianti continuino a richiedere carta e matite per scriver a casa. Nella famosa circolare, si consigliano, inoltre, sistemi di “difesa” per evitare accumuli di cibo da parte dei prigionieri che potrebbero essere usati negli scambi con i civili e le guardie. Si cerca da un lato di far leva sul senso di moralità delle guardie esortandole a “…considerare con senso di sprezzo la sovrabbondanza di generi alimentari che essi ostentano quale frutto di una sproporzionata ed ingiusta ricchezza…”, dall’altro si raccomanda, piu’ concretamente, di portare a ospedali e infermerie quello che i P.G. riescono a nascondere. E, in modo ancor piu’ incisivo, si ribadisce: “…ogni cosa da distribuire al pg. dovrà essere libera da ogni confezione, le scatole dovranno essere aperte, gli involucri dei tabacchi e le sigarette dovranno essere rotti in modo così da rendere difficile se non impossibile la conservazione dei generi e quindi il loro baratto o loro vendita”. E a seguire, una lista di punizioni e provvedimenti di italico furore…

Il Maggiore Castelli prende sul serio la disposizione della circolare 5 e, in obbedienza a essa, fa eseguire una perquisizione dei posti letto dei P.G. Castelli scopre un’eccessiva riserva di scatolette provenienti dai pacchi della Croce Rossa, che fa regolarmente sequestrare ma non forare (per Dio, è un ufficiale gentiluomo, non un barbaro!). Redige un elenco delle scatolette e la consegna la fiduciario dei P.G., come da regolamento.

Ecco l’elenco delle scatolette e confezioni, sequestrate dopo la distribuzione settimanale dei pacchi:

Cacao 34 – formaggio 17 – farina avena 101 - …….66 – biscotti 31 – uova 29 – caffè 6 –cioccolato 22 – marmellata 12 – prugne 2 – miele 10 – latte condensato 3 – zucchero 10 – nestlè 1 – burro 2 – latte in polvere 2.

Castelli decide di devolvere il cibo sequestrato all’ospedale Militare di Verona e all’Ospedale di Bussolengo. Ma qui scoppia la grana, perché il fiduciario del Campo, ovverosia il rappresentante dei P.G. del Campo, inoltra reclamo contro il sequestro ai sensi dell’art. 42 sez. V° delle Convenzioni di Ginevra. Castelli decide quindi di confiscare i viveri in attesa che il Comando del XXXV° Corpo d’Armata di Bolzano – Ufficio Prigionieri di guerra, decida qualcosa. Molto furbescamente, Castelli prende tre piccioni con una fava.

Primo: è a posto con la circolare n°5, in caso di ispezione lui il suo dovere lo ha fatto.

 Secondo: è in regola con le Convenzioni di Ginevra e non si attira le ire dei prigionieri bucando le scatole o inviandole subito agli ospedali.

Terzo: chiede lumi alle alte sfere prendendo tempo e passando la patata bollente ad altri.

Bisogna tenere presente che ogni collettività ha i suoi problemi di salute e quindi anche quella di Pol. Ecco allora le richieste di prigionieri per visite odontoiatriche, specialistiche e così via. Visite che vengono garantite anche nei Campi satellite, a volte con contratti “a termine” con il medico condotto del paese. Viene in questo modo garantita l’osservanza delle Convenzioni di Ginevra. Altre note arrivano al Campo di Pol, come la richiesta di informazioni di P.G. mutilati agli arti, monocoli, ecc…, oppure si forniscono nominativi di prigionieri dispersi, o catturati e poi scomparsi, per la loro ricerca. Insomma, una specie di piccola intelligence di ricerca che sottrae tempo e lavoro, ma che si deve fare. Queste piccole notizie fanno capire quale mole di lavoro fosse necessaria per gestire un Campo di lavoro. Tanto che viene da chiedersi se non fosse piu’ conveniente non farli lavorare i P.G. e non aprire così tanti Campi satelliti.

Certo è che poi, quando lo stomaco brontola, non ci sono regolamenti che tengano e, dai documenti e dalle testimonianze, si puo’ tranquillamente dedurre che questa circolare, come tante altre, viene presa piu’ come un suggerimento che come una “legge” da mettere in pratica. I problemi sono altri. Al Campo di Zevio 148/IV, per esempio, mancano chiodi, suole e tacchi, le attrezzature per riparare le scarpe e anche il ciabattino. Si propone come “scarpolin” , tale P.G. Brothernon Richard. Il comandante del distaccamento di Zevio scrive al Campo di Pol: “…provvedere alle riparazioni, diversamente questo comando sarà costretto a non mandarli al lavoro (i P.G.)”. Come se non bastasse ci si mettono anche i segnali luminosi a turbare la “povera tranquillità” del Campo di Pol. Durante un allarme aereo alle ore 4.40 – forse il solito Pippo, usualmente un P38 Lightnight – il Sottoufficiale di servizio ha visto due razzi verdi verso Villafranca. Ritiene che siano razzi di segnalazione partiti da terra. La guerra comincia ad avvicinarsi…                                       

QUELLA LUNGA ESTATE DEL 1943

 

Nonostante i tanti, troppi problemi che affliggono la gestione del Campo base e dei campi di dipendenza, la vita, se vogliamo, scorre tranquilla. In certi Campi satelliti i prigionieri vengono invitati alle feste paesane. Qualcuno parla al Federale di Verona di troppa confidenza tra civili, militari italiani e P.G. e così arrivano le ispezioni. Ma tutto sommato le ispezioni filano via molto lisce. Anche quelle di routine non destano particolari preoccupazioni. Ogni tanto bisogna cambiare qualche comandante dei campi di dipendenza perché sono un po’ troppo permissivi, il che la dice lunga sulla disciplina…e la “ferocia” italiana. C’è anche da dire che non è facile compiere il proprio dovere. Castelli, per esempio, come altri comandanti dei Campi dipendenti, ordina dei cappelli di paglia per i P.G.. Lavorara sotto il sole in risaia, lungo il canale o fra le pannocchie è dura anche per i soldati catturati sotto il sole di Tobruk. D’altra parte anche con “el capel de paia”, sono rispettate le Convenzioni di Ginevra. Di questi cappelli di paglia se ne accorge anche il giornale veronese l’Arena, che in un proprio articolo attacca Castelli per la troppa generosità verso il nemico…

 

Nell’aria, però, aleggia già lo spettro di quello che accadrà i primi giorni di settembre. Gli alleati iniziano a bombardare l’Italia un po’ come gli pare, la sconfitta in Russia è stata pesante e totale, i reduci raccontano fatti terribili e i tedeschi,poi, si sono impossessati dei veicoli italiani lasciando i nostri a piedi in mezzo a tormente di neve, nel vero senso della parola, con scarpe di cartone e cappotti a bassissimo contenuto di lana. Ma quali Kameraden…L’Impero è perso. L’Africa è persa. Questo strano alleato, la Germania, che da sempre è l’Italico nemico, è messo alle strette.

A mio parere lo sa anche lo S.M.R.E; infatti dal Campo di Pol viene inviata un po’ a tutti (dai distaccamenti al Comando Territoriale), una circolare strana, quasi profetica.

L’oggetto della lettera, è il controllo degli oggetti di corredo dei P.G., ma contiene una frase inquietante: “Risulta che alcuni pg. resi edotti dalla situazione politica, avrebbero espresso l’opinione di vendere a borghesi numerosi oggetti del loro corredo di marca inglese, per far denari onde al momento opportuno servirsene per una evasione”.

Resi edotti da chi? Quale momento opportuno? Piu’ che un messaggio di allarme per i suoi interlocutori, sembra, piuttosto, un avviso, un avvertimento che da li’ a poco qualcosa di grosso deve capitare…che bisogna tenersi pronti.

Forse Castelli è al corrente di movimenti occulti in seno alle Forze Armate nel mese di settembre…La lettera sopra riportata, e quella che segue, sembrano confermare questi miei “sospetti”.

In data 4 settembre 1943, Castelli richiede al Comando di Zona Militare di Verona, di predisporre una autovettura Fiat 1100 con scorta di carburante e autista pratico degli itinerari, che si presenti a Pol il giorno 10 settembre 1943, per recarsi alle ispezioni dei campi i giorni 10, 11 e 12. E’ chiaro. Castelli è pronto per “un qualcosa che solo lui sa…”.

Ma l’8 settembre, forse, lo coglie impreparato.

Il nipote del Maggiore Castelli mi racconta che il nonno, dopo l’annuncio dell’armistizio, inizia a telefonare al comando di Verona, ma non trova nessuno. Si reca di persona in città il 9 mattina, ma il Comando di Zona è vuoto. In qualche modo prende la strada per Cazzano di Tramigna dove abita, e lì si ferma. Ma questa è un’altra storia…

La storia del Campo di Pol, invece, non è finita. Quelli che prima erano prigionieri, ora si trasformano in alleati. Ma hanno un ordine, il famoso “stay by order”. Rimanere fermi in attesa di ricevere ordini. Regna la confusione. Molti pensano che la guerra sia finita, ma è solo un’illusione. Come accade dall’Unità d’Italia in poi, si entra in guerra con qualcuno e la si finisce con qualcun altro… I tedeschi sono già in Italia e questo fatto non lo digeriscono. Prendono possesso di tutti i punti chiave strategici in Italia. A Bussolengo nella notte dell’8 settembre occupano la caserma dei Carabinieri, il Municipio, la scuola elementare e via via; nelle settimane seguenti, case, scuole, cinema, filande, cortili, aziende agricole, e anche camere di privati cittadini per ospitarvi le proprie truppe. Il 9 settembre i tedeschi si presentano al Campo di Pol, un carro armato all’inizio del Campo e uno alla fine a sbarrare la strada ai tentativi di fuga. Quattro prigionieri e quattro guardie italiane riescono a fuggire, un gesto istintivo, probabilmente dopo aver visto i tedeschi uccidere una guardia all’entrata del lato sud del Campo. I tedeschi arrivano con il loro carico di urla e di superbia. Sui camion non caricano i prigionieri, ma quello che riescono a portar via dal Campo. Incolonnati in piccoli gruppi di due o tre, con i loro fagottini, le loro gavette e le coperte in spalla, i P.G. percorrono a piedi la strada fino alla stazione di Domegliara. La gente del posto, spaventata, li osserva da dietro le persiane socchiuse. Da Domegliara prendono il treno per i campi di concentramento in Germania. Alcuni abitanti di Pol preparano delle focacce con quel poco di farina che hanno, e si precipitano alla stazione. Sfidando i tedeschi offrono il cibo a quei ragazzi neozelandesi che non rivedranno piu’. Altri, invece, quando le acque si calmano, quando il rumore dei carri armati è svanito, entrano nel Campo per prendere quello che possono; prima di abbandonare il Campo i tedeschi hanno tagliato i cavi della corrente elettrica sui quali morirà folgorato un italiano, forse una guardia o il guardiano del canale, che voleva rientrare al Campo per cercare delle scarpe… I civili entrano nel Campo trovano il magazzino viveri e portano via tutto…scatole, scatolette, formaggio, caffè. E poi in fureria dove si impossessano di materassi, coperte, cuscini, tavoli, seggiole, pentole, stufe, carta igienica. Il Campo viene svuotato. Quella che sembra un’oasi di pace e di verde, seppure con le sue regole di Campo di prigionia, si trasforma di lì a poco, in un Campo fantasma, abbandonato a sé stesso, con le finestre e le porte aperte, con il tempo non piu’ regolato dall’alza bandiera, dai campanelli delle garitte, dalle lampadine che saltano, dalla messa domenicale…Negli altri Campi la scena è simile. I prigionieri sono numericamente pochi e nei Campi piu’ piccoli i P.G. preferiscono la fuga in mezzo alle pannocchie, oppure nelle case dei contadini che hanno conosciuto mentre lavoravano con loro e per loro. Nei Campi restano solo i malati e qualche indecisa guardia. Cercano aiuto i P.G., sono disorientati. In altri Campi, invece, come a Mozzecane, arrivano i tedeschi e con i camion se li portano via tutti, scortati da carri armati e da sidecart con le mitragliatrici. Al Campo di Montecchia di Corsara i prigionieri fuggono nei boschi e in grotte naturali per poi, da lì a poco, unirsi alle forze partigiane. Da tutti i Campi di prigionia dell’alta Italia i prigionieri hanno solo poche alternative: cercare vie di fuga per la Svizzera, la Jugoslavia, o, attraverso la Rat Line, cercare di raggiungere le truppe alleate a Sud; oppure possono restare nascosti fino all’arrivo delle truppe alleate, (che si spera arrivino da lì a pochi giorni, massimo qualche settimana). In alternativa possono unirsi ai partigiani.

Dei circa 50 mila “nuovi alleati” che scappana dai campi di prigionia italiani piu’ della metà sono ripresi nell’arco di pochi giorni. I neozelandesi che tentano la fuga sono 3.700 ma solo 450 riescono nel loro intento. Gli altri prendono la strada dei campi di prigionia in Germania insieme a seicentomila italiani, imprigionati e trattati come schiavi. Il costo di un tradimento o il costo di aver visto con gli occhi della realtà una guerra persa?

 

Due neozelandesi, mi racconta il nipote Gianni Castelli, raggiunsero il nonno a Cazzano di Tramigna dove trovarono ospitalità, rifugio e una via di fuga. Dall’8 settembre in poi inizia tutta un’altra storia per l’italia. Moltissimi italiani, in larga parte contadini, accolsero nelle loro case migliaia di ex prigionieri di guerra, li vestirono, li nutrirono, li aiutarono in tutti i modi anche a rischio della vita. Con loro intrecciarono legami forti, di onore, d’amicizia e sacrificio, ingigantiti da un nemico crudele e forte, che aveva il potere di vita e di morte su tutto e su tutti. Un nemico che arrestava, torturava e uccideva solo per un sospetto, per una vendetta, per una delazione. Quei testimoni, intervistati oggi, sembrano sorpresi che qualcuno a distanza di piu’ di sessanta anni, cerchi di capire, di intuire, di conoscere la loro storia. Non c’è una spiegazione per quei sentimenti e quei gesti, per quell’aver sfidato la pena di morte prevista per chi aiutava i prigionieri. Lo hanno fatto e basta. Oddio, certo che alcune giustificazioni ci sono. Alcuni avevano dei parenti prigionieri degli inglesi o degli americani, e così facendo sembrava loro di aiutare i propri cari. Altri erano antifascisti e combattere una resistenza non armata era pur sempre un contributo alla causa. Ma quei testimoni che ho incontrato, gente semplice, contadini che non si sono mai mossi dal loro paese se non per un matrimonio o un funerale…gente semplice che ti offre un bicchiere di vino di “quello buono, fatto da loro”, che ti parlano un dialetto stretto che fai fatica a capire il piu’ delle volte…gente semplice che si ricorda dei prigionieri aiutati e ti racconta, quei giorni con le lacrime agli occhi…perché lo hanno fatto? Perché hanno rischiato la loro vita e quella dei loro famigliari? Forse una risposta c’è, ed è piu’ semplice di tutte le spiegazioni che gli storici vogliono dare al senso della Storia.

 

Perché è così. Come un moto dell’anima.

 

Ma non fu solo la “gente semplice” ad aiutare i prigionieri di guerra. C’era gente istruita, come il Comandante del Campo di Angiari, Alessandro Benetti, nelle cui memorie ci sono i battibecchi con il Maggiore Castelli.

A rischio della propria vita, Benetti portò decine di prigionieri britannici in Svizzera, tra i quali anche venti ebrei. Prima in piccoli gruppi, poi addirittura affittando un camion, attraverso la Pianura Padana, e di corsa fino alla Svizzera fra campagne, villaggi, laghi, monti, città. C’erano poi vere e proprie catene di salvataggio e soccorso, organizzate come efficienti “associazioni segrete”, come quella di Padre Placido Cortese, direttore del Messaggero di Sant’Antonio. Salvò, con i suoi collaboratori, fra cui le sorelle Martini di Padova, centinaia di prigionieri, oltre ad ebrei, avversari politici e così via. Dopo essere stato catturato con l’inganno, Padre Cortese morì sotto le torture degli aguzzini delle S.S. a Trieste.

Tra le tante storie e le innumerevoli testimonianze, c’è n’è una che mi ha colpito in modo particolare. Quella di una signora di Montecchia di Corsara: e non per la drammaticità dell’avvenimento che la vide protagonista, che anzi oggi, a risentirla, sembra quasi divertente, ma per il modo in cui me lo ha raccontato.

Mi narra che con sua madre portava da mangiare ai prigionieri di guerra nascosti in una grotta sulle montagne. Lasciavo il cibo in una ciotola “come quela de le galine” e poi se ne andavano. I prigionieri uscivano, prendevano da mangiare e se ne tornavano al loro rifugio. Ma uno di loro, un giorno, lavandosi presso una vasca della raccolta dell’acqua, lascia cadere la dentiera. Non aveva i denti, per un prigioniero in fuga, non era cosa da poco. Il padre della ragazza non si perde d’animo e con una gerla setaccia tutta quanta la vasca, finchè trova la dentiera, proprio in fondo.

“I se g’ha basà, i se g’ha abbraccià, i gà pianto…” La guardo perplesso, perché mi ha raccontato tutto come se fosse stata la cosa piu’ naturale del mondo, con un’aria stupita e gli occhi spalancati per la meraviglia di fronte al mio sincero interesse per una storia così. E conclude “Ecco, non so altro”.

 

Per lei e la sua famiglia nessun riconoscimento da parte di Alexander. Così come per decine, centinaia di altri casi e testimonianze raccolte, a conferma che il fenomeno fu talmente grande da essere, a mio parere, generalizzato. Altri invece mostrano il diploma di merito quasi con renitenza, come se salvare qualcuno non debba essere sbandierato al mondo.

 

Tanti Schindler e tanti Perlasca, figli di una storia minore, confusi nel tempo, come Antonio Mazzi. I prigionieri diretti ai Campi di prigionia in Germania fanno fermata a Balconi di Pescantina. Ci sono alcune possibilità di fuga nel settembre del 1943. I tedeschi non chiudono ancora i chiavistelli con il filo di ferro e dai vagoni si riesce a fuggire schiodando le assi del pavimento o del tetto. Ancora le guardie  non sono dislocate in posizione strategica. Due prigionieri inglesi scappano. La notte li inghiotte. Un prete li aiuta con un cambio d’abito. Devono trovare rifugio. Uno dei due segue una ragazza che torna dalla vendemmia. E’ la figlia di Antonio Mazzi. Viene accolto in quella famiglia, tenuto nascosto e sfamato in attesa della fuga verso casa, fuga che riesce al secondo tentativo. L’ex prigioniero Richard ce l’ha fatta. Ma l’evento non passa inosservato. Con l’inganno e con la scusa di un “nuovo fuggitivo” si creano ad arte le prove per incriminare tutta la famiglia Mazzi. C’è la pena di morte decretata da Mussolini, per questo reato, Antonio Mazzi, la moglie Domenica e i figli Lina, Rosetta e Luigi vengono portati a Verona e imprigionati. Interrogatori interminabili si susseguono senza però un minimo cenno di cedimento da parte della famiglia Mazzi. Non manca neppure un bombardamento della prigione nella quale sono rinchiusi ma dal quale miracolosamente si salvano. Attraverso la mediazione di monsignor Lonardi la famiglia viene liberata, ma “qualcuno” si ostina a perseguitare il buon Antonio. Le S.S. svolgono il loro sporco lavoro. Mettono sotto sopra la casa in cerca di prove; soffitta e stalla vengono anch’esse setacciate. Non si trova niente ma Antonio resta in prigione.

Ma è d’avvero ancora in prigione? O lo hanno portato in Germania? E’ ancora vivo?...

Sì, Antonio è ancora rinchiuso nel carcere di Verona, poi trasferito a Padovane infine a Venezia. Quattordici mesi di prigione non piegano questo piccolo Schindler. Torna dopo la liberazione. Torna ai suoi ritmi quotidiani, alla sua vita fatta di piccole cose…finchè un giorno di cinque anni dopo Richard viene a Bussolengo…

E’ doveroso riportare le storie di altri due “Schindler” bussolenghesi che, per altri motivi dopo la guerra, diverranno personaggi noti e affermati. Il primo è il senatore del Regno Luigi Montresor, che non risparmio’ energie per salvare gli esuli ebrei in Italia, mentre il secondo è lo scrittore Luigi Motta. Motta pagò con il carcere l’aiuto prestato a tanti fuggiaschi, spesso soldati italiani che tentavano soltanto di tornare a casa. Fu arrestato nella sua residenza di Bussolengo, a Monte Marino (in località Ventretti), con l’accusa di aver dato ospitalità al capitano medico inglese Waw, fuggito da un campo di concentramento tedesco. Motta non era propriamente un antifascista, semmai un anglofilo, e il capitano Waw non era stato l’unico che egli aveva aiutato; ogni tanto soldati americani dispersi, prigionieri fuggiti ai tedeschi o disertori si avvicinavano alla Villa e Motta li ospitava, dava a loro viveri e vestiti e li faceva arrivare al sicuro. Ma una “buonanima” alla fine denuncio’ lo scrittore e altre tre persone della sua famiglia ai repubblichini. Luigi Motta fu incarcerato nella fortezza di San Leonardo a Verona, poi nel carcere agli Scalzi e quindi trasferito a Padova, da lì a Venezia e infine nel carcere di San Vittore. Uscì dal carcere milanese il giorno prima della liberazione, per opera dell’avv. Petazzi, Presidente del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, segretamente affiliato del C.L.N.

 

E il Campo di Pol? Mesi dopo l’abbandono, e precisamente il 10 maggio 1944, accoglie i primi sfollati di Cassino. Sono 99 e vengono dal paesino di Terelle vicino a Cassino. Poi ne arrivano altri fino a raggiungere la cifra di 284 nella primavera del 1945. Ancora depredato e svuotato, finita la guerra, il Campo di Pol viene completamente distrutto dalle ruspe dell’Enel negli anni 80. Oggi è possibile vedere solo la casa Ufficiali, il muretto del bersaglio per le esercitazioni al tiro, il porta asta della bandiera e qualche pavimento coperto dal muschio. Peccato. Un pezzo della nostra storia, bella o brutta che sia, andato perduto per sempre…

GLI AMERICANI ARRIVANO A BUSSOLENGO.

DAL LORO PUNTO DI VISTA

 

Molti anziani abitanti di Bussolengo sono stati testimoni dell’arrivo degli americani a Bussolengo il 26 Aprile 1945. Ma come videro le truppe alleate il proprio ingresso a Bussolengo? Lo possiamo scoprire grazie alle pagine del diario della storia dell’86° Mountain Infantry.

 

“Alcune unità americane dell’86° Mountain Infantry entrano a Verona senza incontrare, praticamente resistenza. Il 1° Battaglione ha come missione l’attraversamento del fiume Adige con carri armati, carri “anticarro” e artiglieria. Una volta al di là del fiume i soldati, trasportati su carri armati si avviano verso Bussolengo. Prendono alcuni prigionieri fra cui un colonnello cecoslovacco e il suo staff, ma la massa delle forze tedesche aveva già evacuato il paese. Quando il battaglione si ferma per il bivacco, per la prima volta da settimane, i soldati non devono scavarsi una buca (foxhole – tana della volpe) per ripararsi.

 

Verona e Bussolengo erano state danneggiate dai bombardamenti alleati. Sulle rovine delle costruzioni distrutte, i fascisti scrivevano: “ Opera dei liberatori”. Ma molta gente sembrava felice di vedere le nostre truppe e di scoprire se erano americane o inglesi.

 

I tedeschi (la propaganda) avevano detto loro che gli inglesi avrebbero distrutto ogni cosa, ma evidentemente dissero poco riguardo agli americani. Bandiere italiane erano appese alle finestre e bande di partigiani vagavano per la città alla ricerca dei fascisti. Un gruppo portò alla compagnia K un uomo vestito da civile italiano ma sospettato di essere un tedesco. Il primo sergente Edward Melvin disse in tedesco: “Hande hinauf!!” (mani in alto!!) L’uomo obbedì e fu preso velocemente in consegna come P.W. (prisoner of war – prigioniero di guerra).

 

Con Bussolengo presa e i tedeschi che evidentemente avevano preso il volo, non ci fu ragione di fermarsi ancora. Al primo battaglione fu ordinato di avanzare alla Fornace (probabilmente alle Fornaci di Peschiera) con il primo battaglione dell’85°. Il secondo battaglione mosse da Verona a Bussolengo e si accampo’. Il terzo battaglione rimase in posizione a Verona fino al rilevamento da parte dell’85° e quindi mossero su Bussolengo.

Nella notte del 27 Aprile, l’intero reggimento era vicino Bussolengo.

 

GLI AMERICANI ARRIVANO A BUSSOLENGO

DAL PUNTO DI VISTA DEI BUSSOLENGHESI

 

Il C.N.L. Comitato di Liberazione Nazionale di Bussolengo, riporta invece il punto di vista degli abitanti di Bussolengo. Lo fa attraverso un libricino redatto il 30 settembre 1945 intitolato “RELAZIONI sull’attività svolta dalla liberazione al 31 agosto 1945 con l’originale dei verbali di epurazione”. Ecco come racconta la liberazione.

 

“Nelle prime ore mattutine del 26 aprile, il nostro paese fu presidiato da volenterosi concittadini che, entusiasti dell’avvicinarsi delle Truppe Alleate, impugnavano le armi con gagliarda giovinezza, per ostacolar ela ritirata al nostro piu’ grande nemico e per salvaguardare la popolazione, da eventuali rappresagli delle S.S. tedesche.

L’entrata delle prime camionette Americane avvenne alle ore 13,30 circa. L’entrata delle truppe è stata segnata da indescrivibili manifestazioni di giubilio. Era bello e commovente vederer traboccare di gioia tutti i cittadini per l’avvenuta e tanto agognata liberazione. Tutto era imbandierato. Scritte inneggianti le truppe liberatrici comparvero sui muri. In seguito a ciò gli Americani lasciarono il paese in consegna agli organi costituiti dal C.L.N.”

 

RESOCONTO

Una pattuglia tedesca composta di 21 soldati con un ufficiale. Armata con 2 mitragliatrici leggiere, catturata in seguito a combattimento e consegnata al Comando Alleato. Totale prigionieri catturati N.1470.

Morti: nostri 3 combattenti; soldati tedeschi 7.

 

MAGAZZINI SVALIGIATI

Una parte dai tedeschi in fuga, e pochissima parte recuperata dalle Truppe Alleate di prima linea. Una piccola parte da noi recuperata distribuita al locale Ospedale “Orlandi” e all’Istituto “Calderaia” composto di 115 bambini orfani.

 

MATERIALI ESPLOSIVI

Mitragliatrici leggere N.3 – Moschetti di vario tipo N.7000 – Bombe a mano varie N.1700 – Pistole tute requisite dal Comando Alleato – Munizioni varie Q.li 147.

Il tutto fu consegnato, dietro ordinanza, al Comando Alleato di Verona.

 

MACCHINE

La quasi totalità delle macchine è stata semidistrutta. Il tutto è stato accantonato presso l’officina del sig. Zocca Vito.

 

UN DOCUMENTO STRAORDINARIO

 

Il 12 agosto 1943, lo Stato Maggiore del Regio esercito, restituisce una relazione scritta dal Tenente Medico britannico Vaughan, medico al Campo di Pol, che lo stesso aveva inviato alla Croce Rossa britannica, circa lo stato del Campo e dei prigionieri. Viene rimandata al Maggiore Castelli in quanto Vaughan:”…non essendo egli fiduciario dei pg. non puo’ rappresentare al C.I.C.R. (Comitato Internazionale della Croce Rossa) di Ginevra le eventuali necessità dei pg.”. Si tratta, in poche parole, di uno straordinario ed unico documento che descrive, in tempo reale, la vita del Campo di Pol, osservato minuziosamente, dal punto di vista britannico. E’ certo che questo documento mette in cattiva luce non tanto Castelli che, come abbiamo visto, fa quel che puo’ con quel che ha, ma l’Amministrazione Militare dello Stato Maggiore del Regio Esercito, nei confronti della Croce Rossa Internazionale. Il documento evidenzia carenze e mancanze non dovute alla cattiva volontà della gestione italiana dei Campi da parte dell’Esercito Italiano, ma alla cronica mancanza dei mezzi necessari, come vedremo: dai medicinali alle palline da ping pong…Quindi, la relazione dimostra la “povertà” materiale dell’Italia in guerra anche nella gestione di fatti “laterali” come i Campi di prigionia. La lettera viene riportata integralmente.

 

Alla The Hon. Secretary

Invalid Comforts Section

British Red Cross

 

16 Giugno 1943

 

Gentile Sig.a Browley Daveport, il generale Neame mi ha chiesto di rivolgermi a Lei per conto dei P.O.W. di questo Campo. Sono appena stato trasferito dal Campo 12 come Ufficiale Medico, per lavorare in collaborazione con il medico di qui.

 

Al momento questo Campo è diviso in diverse sezioni:

A) Campo principale

 

B) diversi Campi ausiliari, con una forza totale di quasi 1500 uomini di grado diverso. Tutti i Campi ausiliari dipendono dal Campo Centrale per i loro pacchi della Croce Rossa e per i pacchi conforto per gli Invalidi Ci sono 15 posti in tutto nell’infermeria. Il Capo del Campo, nel Campo Base è il Serg. M.N. Fletcher n. 13894, dal quale ho avuto queste informazioni:

1)Pacchi: la situazione per quanto riguarda i pacchi è soddisfacente.

La riserva in magazzino al momento è:

Pacchi cibo 1644

Latte 61

Cibo per invalidi 52

Tabacco 106

 

2) Pacchi conforto per invalidi: un piccolo aumento di pacchi di cibo per invalidi e di latte sarebbe opportuno.

Non ci sono al momento pacchi medicinali, e quei pochi che sono stati ricevuti fin’ora (8) sono del vecchio tipo. Del tipo piu’ recente N° 1, N° 2, N° 3 e N° 4 non ne è stato ricevuto alcuno. Apprezzeremmo molto una piccola quantità di questi pacchi.

 

3) Istruzioni: il Capo Campo non ha ricevuto istruzioni sull’uso dei pacchi di cibo per Invalidi e di latte, considerando che un pacco di cibo per invalidi e uno di latte costituiscono una unità. Una copia di queste istruzioni sarebbe molto utile alle autorità del Campo e anche ai capi dei Campi ausiliari.

 

4) Giochi: non ci sono giochi indoor eccetto un tavolo da ping pong, ma non ci sono le palline. Sarebbe molto gentile da parte vostra se faceste avere loro qualche gioco come scacchi, freccette, dama…

 

5) Libri: non c’è una biblioteca qui. Gli uomini hanno molto tempo libero e mi hanno chiesto di cercare di far avere loro qualche bel libro. So che questo argomento è preso in considerazione dall’On. Cristine Howles, ma non sono riuscito ad ottenere il suo indirizzo. Vi sarei molto grato se voleste gentilmente farle sapere della nostra situazione qui, in modo da risparmiare tempo e chiederle di mandare qualche buon libro che farò in modo di far circolare anche fra i Campi ausiliari, con il gentile consenso delle autorità di qui.

 

6) I vestiti degli uomini sono inadeguati specialmente perché loro lavorano. Gli scarponi sono malandati e abbiamo ricevuto solo una consegna di 160 paia.

 

Le ho fatto un breve resoconto delle necessità di questo Campo e Le sarò estremamente grato per qualsiasi aiuto che riuscirà ad ottenere in qualsiasi direzione e Le assicuro che tutto il Campo apprezza profondamente ciò che fa.

Distinti saluti

Ernest Vaughan

Capt. I.M.S. (E.E.) Vaughan

 

DELLA POSTA E DALLE LETTERE

UN GRANDE PATRIMONIO DI UMANITA’

 

Fra i documenti riportati “in vita” sono particolarmente importanti le centinaia di lettere ritrovate. Le lettere, per la maggior parte ancora chiuse e provenienti da tutto il Commonwealth, sono missive dei parenti dei prigionieri di guerra. Il loro contenuto non ha particolare valore storico per quel che riguarda, ovviamente, gli eventi bellici, ma trova largo interesse per l’aspetto umano, per i piccoli momenti di vita di tutti i giorni, delle problematiche di chi ha un figlio, parente, marito o amico lontano, e in situazione anomala, come la prigionia. La speranza del ritorno è quella che permea tutte le lettere, l’incoraggiamento trova largo spazio insieme ad inviti alla pazienza perché “tutto finirà prima o poi”. E poi i figli, gli amici, le restrizioni. Lettere dove si informa il proprio caro di quello che si prevede sarà il raccolto, della salute degli animali, oppure di cosa danno a teatro a Londra. Lettere semplici perché sottoposte a censura e compresse dentro spazi ben delimitati. Una specie di “pudore storico” mi ha preso nell’aprire queste lettere per “capirne” il contenuto. Aprire quelle buste chiuse dal 1943 annulla lo spazio temporale della storia. Sembra quasi che il tempo si sia fermato e che quel prigioniero sia ancora lì, nella sua branda di legno, che apre lentamente la sua lettera, la gira e la rigira nelle mani per assaporarne a lungo il “contatto” con i suoi cari e la sua casa.

 

La posta fu un elemento importante per i prigionieri durante la seconda guerra mondiale. Particolari accordi internazionali e il rispetto delle Convenzioni di Ginevra garantivano la circolazione della posta. La posta era un diritto sia riceverla che spedirla. Infatti sono centinaia i moduli intonsi che sono stati ritrovati per la posta in uscita dal Campo da parte dei prigionieri e troviamo anche un documento di richiesta del fiduciario di un Campo satellite di moduli per lettera e matite. Certamente per motivi culturali la posta alleata fu immensamente piu’ numerosa di quella dei prigionieri italiani e dei loro parenti. L’analfabetismo, o forse sarebbe meglio dire, una minima cultura molto vicina all’analfabetismo dei militari italiani e un largo analfabetismo dei parenti in patria, non permise quegli scambi epistolari, così diffusi fra gli altri belligeranti alleati e non. Solo per fare un esempio, nella prima guerra mondiale piu’ del 90% dei militari austroungarici sapeva leggere e scrivere correttamente; il 90% dei militari italiani, al contrario sapeva a mala pena fare la propria firma se non erano del tutto analfabeti. Questo spiega perché le lettere scritte dagli austroungarici furono circa un miliardo, tanto che a volte gli uffici postali si bloccavano dall’intasamento.

 

Ma come sono arrivate a noi queste lettere di Pol, per quale motivo non sono state consegnate?

Le lettere facevano un lungo giro. Prima dovevano passare la censura, poi venivano spedite, per esempio, al Campo di residenza del prigioniero, mettiamo Gruppignano. Da lì venivano rispedite al Campo di lavoro di Pol di Bussolengo che magari le rispediva poi al Campo di Lazise. Si, insomma, una lettera poteva impiegarci anche due o tre mesi. Ecco allora che, presuppongo, le lettere arrivano sì al Campo base di Pol, ma proprio nel periodo dell’8 Settembre, anche se sono state spedite mesi prima. Qualcuno le raccoglie, le getta dentro ad una cassa insieme a tutti i documenti del Campo, ci mette un bel lucchetto e lì restano per decenni.